mercoledì 8 aprile 2015

Workshop intermedio FIR - Firenze, 11 maggio 2015




Giornata di Studi
Workshop intermedio FIR 2012

Firenze, 11 Maggio 2015

Università degli Studi di Firenze
Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali
Sala 101 - 1° piano, Palazzina D5, Via delle Pandette, 21

(.pdf del programma)


       Il Mediterraneo è stato uno dei più frequentati teatri dei flussi migratori: negli anni ha raccolto, respinto, protetto, perso vite umane, spesso rivelandosi esso stesso come border zone. Strettamente legato a quello delle migrazioni è il tema dei campi, strutture d’internamento “provvisorio” utili a raccogliere e concentrare quei soggetti non espellibili perché privi di un territorio cui poter essere rinviati. I campi come vere e proprie utopie tecnocratiche per il controllo dei migranti, diventano oggi spia dei limiti di un’ospitalità non sempre funzionale ed efficace. La relazione tra campo e stato-nazione riemerge come relazione di crisi, si riattiva la riflessione sul rapporto tra cittadinanza/appartenenza/diritti, e ancora, sovranità/eccezione/inclusione-esclusione/nazione-popolo. Lo straniero ritorna ad essere nemico, e si riaccendono le discussioni su pericolosità sociale, internamento e detenzione.

La strategia discorsiva ha provato a trasformare il problema degli apolidi in un problema di sicurezza per lo stato attraverso la criminalizzazione della non-appartenenza, intesa come diversità etnica, estraneità al corpo etnico della nazione. La questione della “minoranza eccedente” l’ordine politico nazionale è diventata questione “del fuori”. Gli apolidi sono divenuti “fuori legge”. Colui che è etnicamente diverso è diventato nemico esterno.

Il campo è stato così assunto a grado zero dell’esclusione, basata appunto sulla distinzione tra cittadino e straniero. Nessun cittadino, da cittadino, può entrare in un campo; la cittadinanza rappresenta il limite insuperabile per l’internamento amministrativo. La condizione di questi soggetti non è pensabile attraverso le categorie di un diritto che non sia eccezionale, di un diritto in cui la polizia acquisti un ruolo predominante. Il campo, in questa prospettiva, si presenta come lo spazio di un diritto che non è diritto, di una eccezione che diventa regola. Ma non solo. Il campo come paradosso del potere è la forma che assume il controllo mentre si organizza, ed è quella stessa forma che visualizza la crisi. Si parla di challenge of governance, che coinvolge trasversalmente nella riflessione antropologi, sociologi, filosofi e storici del diritto, giuristi e decision makers.  

Il campo rappresenta, al tempo stesso, la crisi di un modello di ordine di cui vuole essere espressione. Dispositivo critico, svolge ad oggi una funzione ambigua nei confronti di uomini e donne non includibili nel diritto come soggetti giuridici o, nella politica, come cittadini di una nazione. Questa funzione si manifesta in pratiche arbitrarie, sottratte al controllo giurisdizionale e affidate alla discrezionalità degli apparati amministrativi dello stato. Il campo di internamento segna di fatto una rottura nell’organizzazione e nell’esercizio del potere degli stati europei e rappresenta un punto di non ritorno non più interpretabile attraverso le categorie poitiche del XVIII secolo. A complicare la riflessione è l’analisi delle situazioni di “campo” in contesti di fragilità o debolezza istituzionale collegati a transizioni statuali dagli esiti incerti. Qui non si tratta dunque più e soltanto di verificare l’adeguatezza delle categorie politiche del diciottesimo secolo, ma di fare i conti con una difficoltà oggettiva di ricorrere a categorie formali tous court, non solo e non propriamente giuridiche.

La funzione dei campi pare sia quella di rendere oggetto di pratiche di controllo una certa popolazione e, sempre in base alla necessità, di proteggere lo stato da una minaccia presunta sulla base di un giudizio preventivo, di un giudizio cioè che precede, anticipa e produce il fatto pericoloso, la violazione di un bene o di un interesse che giustifica la punizione o quanto meno l’applicazione di misure di sicurezza. L’internamento senza processo, senza garanzie, rappresenta una misura di sicurezza da assumere in base a criteri che possono essere etnici, economici, politici o addirittura semplicemente geografici nei confronti di chi è ritenuto in quanto tale pericoloso. È chiaro allora che se la pericolosità si presume deduttivamente da alcune circostanze, non è necessario alcun accertamento giurisdizionale della fondatezza dei provvedimenti di privazione della libertà personale. Oppure, come spesso accade agli immigrati internati nei centri di detenzione italiani, l’accertamento della legittimità del provvedimento di espulsione sulla cui base è stato disposto l’internamento, avviene solo dopo che l’immigrato è stato espulso.

Il workshop si propone di analizzare, verificare e discutere le tematiche esposte attraverso un approccio interdisciplinare che affianchi l’analisi teorica a quella dei casi studio. 

Segreteria scientifica: Eliana Augusti, Antonio Maria Morone, Michele Pifferi
Collaboratori: Valentina Pepi


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